Nato a Cremona nel 1949, Giuseppe Persia ha iniziato a fare fotografie all’inizio degli anni ’70. Ha partecipato a numerosi eventi in Italia e all’estero conseguendo importanti premi e consensi di pubblico e critica. «Nus-Noûs”: Nus come nudi, Noûs come mente. Tale percorso si distingue per l’originalità dell’ideazione e degli esiti che hanno portato l’artista a realizzare in fotografia ciò che più facilmente si ottiene in pittura o in scultura. Si presentano come delle “entità eidetiche” che prescindono dalla realtà e dall’esperienza sensibile pur evocandola in varie guise ed in forme seducenti, misteriose e talvolta inquietanti. In questa ricerca concettuale prevale la dimensione speculativa, volta ad indagare il mondo surreale dell’inconscio, un inconscio germinante da cui affiorano sia delle entità verosimili che delle entità misteriose eppure emotivamente coinvolgenti. La fotografia è un mezzo espressivo che, oltre ad essere un potente strumento di indagine e riproposizione della realtà oggettiva, sa anche essere, in modo altrettanto valido, il suo opposto, riproducendo l’illusorio e l’irreale. Questa ambivalenza si concretizza nelle opere “Nus-Noûs” e si dimostra capace di affrontare il linguaggio fotografico sfruttandone appieno le possibilità espressive ed allusive. Nelle immagini appare in modo evidente come l’elemento di ambivalenza si tramuti in una sottile elaborazione della mente che ci allontana dalla realtà per condurci in un labirinto immaginativo composto da suggestioni e visioni evocative.
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«La natura non crea opere d’arte. Siamo noi, con la capacità d’interpretazione, che è proprio nella mente umana, che vediamo l’arte». Dalle significative riflessioni di Man Ray si può individuare un’interessante connessione con il percorso artistico di Giuseppe Persia, per comprendere come la sua fotografia d’autore sia senza dubbio una forma d’arte di altissimo livello qualitativo e contenutistico. La versatile duttilità del suo estro gli consente di cimentarsi e spaziare positivamente dentro tematiche eterogenee, da cui nascono lavori di particolare e rara bellezza. Il tema del paesaggio naturale e urbano è sotteso da intensa motivazione poetica e da un attento e dovizioso bilanciamento compositivo giocato sulla “presenza/non presenza” umana, che si fonde perfettamente con la cornice ambientale di contorno in una dimensione di presenza volutamente “celata, sussurrata e intuita” di incisivo spessore, seppur non pienamente visibile e identificabile, ma comunque attesa e annunciata. Il tema del nudo femminile è affrontato con tono evocativo, con raffigurazioni di affascinante sensualità e intrigante erotismo, senza mai scadere in immagini eccessive e volgarmente riprodotte. Da un lato Persia fornisce la riproposizione nitida e dettagliata dei particolari del corpo, dall’altra li inserisce in uno scenario volutamente non realistico, modificandone le sembianze e la fisionomia natura lied enfatizzandone la deformità, la torsione e il contorcimento posturale, gli intrecci del movimento dinamico in cui sono immortalati dallo scatto d’autore. La scelta delle posture nella distorta flessuosità innaturale e forzata, con cui i corpi vengono catturati dall’obiettivo, non vuole sottolineare una finalità di rigido rigore narrativo, ma bensì piuttosto la dimensione di irrealtà onirica e fantasiosa, per enfatizzare una proiezione in cui ciò che conta è la bellezza nella sua particolare prospettiva sui generis. La produzione si avvicina e si connette all’arte pittorica, poiché la rappresentazione del corpo umano e dell’habitat naturale e urbano sono da sempre all’origine della pittura e ne rafforzano l’essenza costitutiva stessa. La scelta del bianco e nero non è certamente casuale, ma bensì dettata da una consapevole coerenza d’intenti e di finalità, perché allude e si riferisce a una dimensione, che al realismo in senso stretto puramente descrittivo e oggettivo, preferisce la sottile e sfumata interpretazione libera e soggettiva. L’uso sapiente e calibrato della luce e degli effetti chiaroscurali è molto coreografico. Talvolta la componente luminosa viene dosata e “morbidamente adagiata”, talvolta irrompe più vibrante e sferzante, fino a generare dei contrasti netti e delle marcate zone d’ombra. Le fotografie possiedono una loro propria “vitalità estrinseca” che conquista lo spettatore fin dal primo sguardo e lo proietta dentro l’immagine in un avvincente viaggio di scandaglio analitico. Sfruttando le ombre e i riverberi del bianco e nero riesce a fornire una vasta gamma di soluzioni interpretative, dimostrando una capacità tecnica di intervento, che trionfa sul valore intrinseco del soggetto proposto e amplifica la valenza concettuale dell’opera nel suo complesso. L’obiettivo fotografico è una propaggine del suo senso visivo proteso a penetrare i segni nascosti tra le pieghe di una realtà colta nelle multiformi sfaccettature del suo “respiro intermittente” e compone il tessuto connettivo della ricerca sul rapporto tra senso e non senso, continuo e discontinuo, allontanamento e adescamento, addizione e sottrazione. Il tutto ricondotto alla perfetta e magica commistione tra ispirazione e immagine, pensiero e azione, tecnica e arte creativa. Si possono allineare le parole di Otto Steinert, che dichiarava che è possibile ottenere al di là di ogni ipotesi di “oggettività meccanica” una «fotografia umanizzata, individualizzata, dove l’utilizzazione dello strumento ha lo scopo di scegliere sui soggetti soltanto gli aspetti corrispondenti alla loro natura più profonda».
Dott.ssa Elena Gollini
Giuseppe Persia, un artista del bianco/nero e soprattutto l’interprete della fotografia da un lato come elemento documentario, così come avviene negli scatti relativi al terremoto del Friuli del 1976, e dall’altro quale fattore narrativo (si vedano al proposito le foto dei ″Mitici Anni 70″) ed ideologico come si può apprezzare nella serie “NUS–NOÛS”.
Allievo, se così si può dire, di Gianni Borghesan, un uomo sobrio, elegante e discreto che apprezzò il ragazzo ventenne e lo avviò alla difficile arte della fotografia come esercizio non casuale e vincolato ad una rigida disciplina tecnica fatta di tratti essenziali, di misura e di espressività. Tali caratteristiche sono soprattutto rilevabili nella serie ″Nus-Nous″, le cui immagini, secondo quanto afferma Persia, «sono molto suggestive, alcune sembrano nudi, altre un intreccio di corpi, qualcuna spudoratamente scandalosa» per lanciare «un messaggio che non riguarda solo le immagini ma anche le situazioni» perché, e qui sta il suo credo artistico, «tutto quello che vedi, anzi, che credi di vedere, può non essere la realtà». E infatti si tratta di peperoni che, colti dall’obiettivo con virtuosistici effetti tecnici, sembrano affascinanti nudi femminili. Testimoni di un passato scomparso per sempre, e per ciò stesso importanti testimonianze storiche, sono le foto dedicate al Castello di Ragogna, distrutto dal terremoto. In esse talora l’oggettività del fotografo cede alla malinconia di quanto è stato ed or non è più, e giunge alla poesia, come ad esempio nell’immagine del cimitero, che ricorda analoghe visioni dipinte dal pittore romantico tedesco Caspar Friedrich.
Un valore analogo possiedono le foto di luoghi e situazioni di un’Italia altrettanto scomparsa, come quella dei ″Mitici Anni 70″, che mostrano viva partecipazione alla miseria, alle vite perdute, all’umiltà di gente povera ma dotata di grande coraggio esistenziale.
Aldo Maria Pero, Giugno 2016
L’opera fotografica di Giuseppe Persia ama giocare sull’ambiguità della percezione. E’ un equilibrio sottile, dove un semplice ortaggio si può trasformare in forme allusive, suadenti e sensuali. Sono immagini, realizzate in genere in bianco e nero, che fanno riflettere sulle possibilità espressive di una personale visione che va al di là di quello che l’occhio fisico riesce a percepire. L’immaginario si definisce, infatti, tramite un rigoroso studio compositivo che implica una scelta precisa fra le varie possibilità offerte dalle diverse inquadrature, dai tagli compositivi, dai rapporti tra luce e ombra, in un’attenta riflessione sulle potenzialità espressive e simboliche che si vengono a creare. Così l’esito formale raggiunto si condensa in suggestioni figurali in cui il concetto di realtà viene messo in discussione, senza alterazioni manipolazioni tecniche. La rappresentazione ottenuta suggerisce, allude, concedendo sempre, però, la possibilità di una scelta, in un gioco divertito e un po’ malizioso a cui il fruitore resta sempre libero di partecipare, di lasciarsi o meno coinvolgere. In questa fotografia il bianco e nero mostra la sua valenza immagnifica dove le ombre creano un insieme forte e coinvolgente che trasporta l’effige creata in un preciso contesto emozionale, sottolineando i volumi e le forme. Interessante la riproposizione, a volte, dell’immagine in una seguenza eleborata cromaticamente, che utilizza il potenziale espressivo del colore, presentato, non in modo realistico ma attraverso una saturazione cromatica che rimanda, assieme ad un concetto di serialità, a certe allusioni pop. Si crea, in definitiva, una sorta di paesaggio che potremmo definire “anatomico”, in cui appare un’urgenza immaginativa che si risolve in un contesto iconografico liberamente interpretato.
Vito Cracas